2 agosto 1980, Strage della stazione di Bologna

1980
2 agosto, Bologna
La strage della Stazione

L’attentato
Il 2 agosto 1980 alle 10:25, nella sala d’aspetto di seconda classe della stazione di Bologna affollata di turisti e di persone in partenza o di ritorno dalle vacanze, un ordigno a tempo, contenuto in una valigia abbandonata, venne fatto esplodere e causò il crollo dell’ala Ovest dell’edificio. La bomba era composta da 23 kg di esplosivo, una miscela di 5 kg di tritolo e T4 detta «Compound B», potenziata da 18 kg di gelatinato (nitroglicerina a uso civile).
L’esplosivo, di fabbricazione militare, era posto in una valigia sistemata a circa 50 centimetri d’altezza su un tavolino portabagagli sotto il muro portante dell’ala Ovest, allo scopo di aumentarne l’effetto: l’onda d’urto, insieme ai detriti provocati dallo scoppio, investì anche il treno Adria Express 13534 Ancona-Basilea, che al momento si trovava in sosta sul primo binario, distruggendo circa 30 metri di pensilina e il parcheggio dei taxi antistante l’edificio. L’esplosione causò la morte di 85 persone e il ferimento o la mutilazione di oltre 200.
Le prime ipotesi ufficiali
Nell’immediatezza dell’attentato la posizione ufficiale del governo della Repubblica Italiana, allora presieduto da Francesco Cossiga, sulla base dei primissimi rilevamenti della Polizia di Stato fu quella dell’attribuzione dello scoppio a cause fortuite, ovvero all’esplosione di una vecchia caldaia sita nel sotterraneo della stazione. A seguito dei rilievi svolti e delle testimonianze raccolte sul posto apparve chiara la natura dolosa dell’esplosione, rendendo palese una matrice terrorista; ciò contribuì a indirizzare le indagini nell’ambiente del terrorismo nero.
Molti anni dopo, ricordando l’ipotesi della caldaia, il magistrato Libero Mancuso disse in un’intervista televisiva che i depistaggi erano già iniziati pochi minuti dopo la strage. Ciò fu particolarmente grave perché, essendo esclusa nelle prime ore l’ipotesi di un attentato, gli esecutori poterono dileguarsi indisturbati. L’Unità, nell’edizione del giorno dopo alla strage, basandosi su una presunta rivendicazione da parte dei NAR, sostenne l’idea della matrice neofascista dell’attentato[28]. Infatti ci furono da subito alcune rivendicazioni prima da parte dei NAR con una telefonata risultata partita da una sede fiorentina del SISMI, poi dalle Brigate Rosse, seguite da altrettante telefonate di smentita da parte di militanti dei due gruppi terroristici, fatti che contribuirono a creare depistaggio.
Due giorni prima della strage il giudice istruttore bolognese aveva depositato l’ordinanza di rinvio a giudizio dei neofascisti toscani accusati della strage dell’Italicus. Anche questa circostanza indusse ad avviare le indagini all’interno dell’area del terrorismo nero. Il 22 agosto un rapporto della DIGOS, che conteneva documenti come i «fogli d’ordini» di Ordine Nuovo e La disintegrazione del sistema di Franco Freda, avvalorò la necessità di indagare negli ambienti neofascisti.
Il 28 agosto 1980 la Procura della Repubblica di Bologna emise 28 ordini di cattura nei confronti di militanti di estrema destra dei Nuclei Armati Rivoluzionari, di Terza Posizione e del Movimento Rivoluzionario Popolare. A questi se ne aggiunsero un’altra cinquantina. Le accuse erano di associazione sovversiva, banda armata ed eversione dell’ordine democratico. In base ai rapporti della DIGOS, e anche in base alle testimonianze e dichiarazioni dei detenuti, finirono sotto inchiesta: Roberto Fiore e Massimo Morsello, Gabriele Adinolfi, Sergio Calore, Francesca Mambro, Elio Giallombardo, Amedeo De Francisci, Massimiliano Fachini, Roberto Rinani, Valerio Fioravanti, Claudio Mutti, Mario Corsi, Paolo Pizzonia, Ulderico Sica, Francesco Bianco, Alessandro Pucci, Marcello Iannilli, Paolo Signorelli, Pierluigi Scarano, Francesco Furlotti, Aldo Semerari, Guido Zappavigna, Gianluigi Napoli, Fabio De Felice e Maurizio Neri. Tutti sono stati scarcerati nel 1981.
I depistaggi e la disinformazione
Licio Gelli, Maestro venerabile della P2, condannato per il depistaggio delle indagini. Ha successivamente dichiarato che l’esplosione è stata causata da un mozzicone di sigaretta che ha innescato un’esplosione per colpa di una fuga di gas.
Ai magistrati giunsero notizie e segnalazioni in base a cui i sospetti dovevano essere indirizzati oltre confine. L’ipotesi scaturita da quelle indicazioni era quella di un complotto internazionale che coinvolgeva terroristi stranieri e neofascisti italiani latitanti all’estero con collegamenti in Italia.
Tutto questo risulterà essere un montaggio costruito a tavolino, utilizzando vecchie informazioni e notizie completamente inventate. Le operazioni di depistaggio furono progettate ed eseguite da un settore deviato del SISMI, all’epoca diretto dal generale Giuseppe Santovito, iscritto alla P2 e morto nel 1984.
Il 13 gennaio 1981 in uno scompartimento di seconda classe del treno Espresso 514 Taranto-Milano fu scoperta una valigia che conteneva otto lattine piene di esplosivo, lo stesso esplosivo che fece esplodere la stazione, un mitra MAB, un fucile automatico da caccia, due biglietti aerei Milano-Monaco e Milano-Parigi. Il ritrovamento era stato possibile in seguito a una segnalazione dei servizi segreti. L’operazione, chiamata «Terrore sui treni», si dimostrò un falso del gruppo deviato del SISMI, che voleva accreditare la tesi della pista estera, facendo riferimento a una fonte che doveva restare segreta. La Corte d’assise di Roma accertò che «la fonte non esisteva e le informazioni erano false, costruite nell’ufficio di Musumeci e Belmonte, con la connivenza di Santovito». Nella motivazione i giudici scrissero che «la ricostruzione dei fatti, basata su prove documentali e testimoniali, e sulle dichiarazioni degli stessi imputati, fa emergere una macchinazione sconvolgente che ha obiettivamente depistato le indagini sulla strage di Bologna. Sgomenta che forze dell’apparato statale, sia pure deviate, abbiano potuto così agire, non solo in violazione della legge, ma con disprezzo della memoria di tante vittime innocenti, del dolore delle loro famiglie e con il tradimento delle aspettative di tutti i cittadini, a che giustizia si facesse.». La valigia era stata messa sul treno da un sottufficiale dei carabinieri e conteneva oggetti personali di due estremisti di destra, un francese e un tedesco, chiamati Raphael Legrand e Martin Dimitris.
Un dossier fasullo, prodotto dal generale Pietro Musumeci vicecapo del SISMI, riportava gli intenti stragisti dei due terroristi internazionali in relazione con altri esponenti dell’eversione neofascista, tutti legati allo spontaneismo armato, senza legami politici, quindi autori e allo stesso tempo mandanti della strage.
La motivazione del depistaggio è stata identificata nell’obiettivo di celare la strategia della tensione oppure, secondo tesi minoritarie, nel proteggere Mu’ammar Gheddafi e la Libia da possibili accuse, in quanto divenuti ormai partner commerciali importanti per FIAT ed Eni. Lo stesso giorno della strage a La Valletta si firmò l’accordo in cui l’Italia si impegnava a proteggere Malta da attacchi libici, come quelli che si sarebbero poi verificati in quella zona del Mediterraneo.
Il 29 luglio 1985 Pietro Musumeci è stato condannato a 9 anni di carcere per associazione a delinquere, Francesco Pazienza a 8 anni e 6 mesi per lo stesso reato (l’accusa di violazione del segreto di Stato fu coperta da amnistia), e Giuseppe Belmonte fu condannato a 7 anni e 8 mesi per associazione a delinquere, peculato e interesse privato in atti di ufficio: assolti con formula piena il colonnello Secondo D’Eliseo, il capitano Valentino Artinghelli e Adriana Avico, collaboratrice di Pazienza.
In appello, il 14 marzo 1986, le condanne scesero a 3 anni e 11 mesi per Musumeci, a 3 anni e 2 mesi per Pazienza, e a 3 anni per Belmonte. Per tutti gli imputati cadde l’accusa di associazione per delinquere. Per i giudici della Corte d’appello di Roma non esisteva il «Super-SISMI», ma una serie di attività censurabili e realizzate con fini di lucro, che non rientravano in alcuna organizzazione segreta parallela ai servizi segreti militari.
La ricerca dei mandanti
L’Associazione tra i familiari delle vittime della strage di Bologna del 2 agosto 1980 ha sempre sostenuto che, come in altre stragi analoghe, chi posizionò la bomba era solo un esecutore di ignoti mandanti. Il presidente dell’Associazione, Paolo Bolognesi, ha affermato che essi vanno cercati nelle istituzioni dell’epoca e in gruppi come la P2. Afferma, inoltre, che Licio Gelli diede 10 milioni di dollari a persone dei servizi segreti e ad appartenenti all’organizzazione Gladio, prima e dopo il 2 agosto 1980. L’Associazione ha sempre respinto le piste estere, sia quelle di estrema sinistra e arabe sia quelle che coinvolgono i servizi segreti dei Paesi NATO, affermando che la strage fu ideata da mandanti italiani (persone che stavano «nel cuore delle istituzioni»), per mantenere il potere in maniera autoritaria. Bolognesi afferma che Fioravanti e Mambro negano la strage (sia come effettivo attentato, sia come incidente o errore), nonostante l’ammissione di tutti gli altri omicidi, perché troppo infamante e diversa dagli obiettivi e dal messaggio di lotta armata contro lo Stato (a differenza dello stragismo del vecchio neofascismo) che i NAR volevano rappresentare, quando cominciarono la loro attività. I NAR avrebbero collaborato non per motivi ideologici (come avevano fatto le precedenti organizzazioni armate di estrema destra), ma perché ricompensati con una contropartita, in collusione con la criminalità organizzata e le strutture segrete deviate, della quale avrebbero agito come semplice sicari e ultimo anello della catena.
Lo stesso Bolognesi ha scritto, con Roberto Scardova, il libro Stragi e mandanti. Sono veramente ignoti gli ispiratori dell’eccidio del 2 agosto 1980 alla stazione di Bologna? (2012) in cui è stata ipotizzata un’unica strategia anticomunista internazionale, attuata in Grecia con la dittatura dei colonnelli, in Italia con la strategia della tensione, comprendente falsi golpe di avvertimento e reali stragi, di cui Bologna fu il culmine, e in America Latina con i colpi di Stato (Cile, dittatura argentina) dell’operazione Condor, con mandanti originari uomini dei servizi segreti anglo-americani, importanti politici italiani e stranieri. La strategia della tensione sarebbe partita da prima della fine della seconda guerra mondiale con la costituzione, in ambito fascista, della struttura parastatale denominata Noto servizio o «Anello», il cui capo durante la Repubblica, secondo quanto detto anche da Licio Gelli, sarebbe stato Giulio Andreotti. Lo stragismo avrebbe quindi da sempre usato manovalanza neofascista, neonazista, criminali comuni e mafiosi e avrebbe goduto di finanziamenti esterni provenienti dall’estero (sia dalla NATO, sia dal petrolio della Libia di Gheddafi, in affari segreti con i governi di Andreotti e con l’Eni di Eugenio Cefis) e da faccendieri italiani.
Dopo la morte di Licio Gelli, nel 2015, Paolo Bolognesi ha ribadito la sua convinzione che l’ex capo della P2 fosse il mandante e l’organizzatore della strage, in vista di un nuovo tentativo di golpe previsto secondo lui nel 1981, depositando un esposto in Procura già nel 2012.
Nel 2017 la Procura di Bologna ha chiesto l’archiviazione dell’inchiesta sui mandanti, in quanto non esisterebbero evidenze che legano gli esponenti della P2 Licio Gelli, Umberto Ortolani (entrambi deceduti) e suo figlio Mario, né l’organizzazione Gladio, alla pianificazione o finanziamento della strage come sostenuto nella denuncia, e non si può escludere che i NAR abbiano agito da soli, in nome del loro «spontaneismo armato» neofascista che li avrebbe spinti a rifiutare ogni collaborazione con forze da loro ritenute borghesi e colluse col «sistema» che essi volevano combattere. Tuttavia a seguito di ulteriori indagini, l’11 febbraio 2020 la stessa procura generale di Bologna ha indicato Federico Umberto D’Amato come uno dei 4 mandanti, organizzatori o finanziatori della strage alla stazione di Bologna del 1980 insieme a Licio Gelli, Umberto Ortolani e Mario Tedeschi.
Le responsabilità accertate
I due terroristi Valerio Fioravanti e Francesca Mambro, neofascisti appartenenti ai NAR, sono stati riconosciuti definitivamente colpevoli, assieme a Luigi Ciavardini e Gilberto Cavallini, per la bomba del 2 agosto 1980 che uccise 85 persone alla Stazione di Bologna. Altro personaggio importante è stato Paolo Bellini, descritto come “il quinto uomo” della strage, processato dalla Corte d’Assise di Bologna che lo ha condannato all’ergastolo in primo grado per concorso in strage.

Fonte
Wikipedia
Strage di Bologna

Approfondimenti
I webdoc di Rai Cultura
La strage di Bologna
SkyTG24
Bologna, storia di una strage
Bologna, i giudici: “Il 2 agosto 1980 fu una strage di Stato. Cavallini sapeva”
Strage Bologna, per i pm pagati 5 milioni di dollari da Gelli e la P2
Strage di Bologna, ergastolo per l’ex terrorista dei Nar Gilberto Cavallini
La Diga Civile
RISORSE AUDIO E VIDEO SULLA STRAGE DI BOLOGNA
Rivista Il Mulino
BOLOGNA E LA VORAGINE DEL 2 AGOSTO
Internazionale
La strage di Bologna aspetta ancora il lavoro degli storici
Bologna Biblioteche
STORIE SULLA STRAGE DI BOLOGNA 2 AGOSTO 1980 DI MIRIAM RIDOLFI

Video
Rai Play
A 40 anni dalla strage di Bologna. Una mattina d’agosto
2 agosto 1980, la strage dell’umile Italia. La bomba
Bologna, 2 agosto 1980. La Strage – La Grande Storia
SkyTG24
Strage di Bologna, 2 agosto 1980
SkyVideo
Strage di Bologna, condanna all’ergastolo per Paolo Bellini
BolognaToday
Carlo Lucarelli firma un documentario sulla strage del 2 Agosto 1980
Sole24ore
2 Agosto 1980-2020: 40 anni dalla strage di Bologna
La Repubblica
Strage di Bologna: le prime immagini dopo l’esplosione
La7 Attualità
Bologna, una strage annunciata? A 36 anni dalla strage riascoltiamo Valerio Fioravanti
Università di Bologna- Museo Officina dell’Educazione
CHI SI NASCONDE DIETRO ALLA STRAGE DI BOLOGNA

Sound
Stragi.it
Riproduzioni dei notiziari radiofonici nazionali del 2 Agosto 1980
Rai Play Sound
Blu Notte. I grani misteri d’Italia. La strage di Bologna

Galleria di Immagini da Bibliotecasalaborsa.it

Immagini tratte da Wikipedia


Fioravanti e Mambro durante il processo

Cavallini

L’arresto di Ciavardini

Altre Immagini

da Università Bologna

da Ansa

da Collettiva

Da PeaceLink