Antonio Esposito

1978
21 giugno, Genova
Antonio Esposito, 35 anni, commissario di Pubblica Sicurezza

Il 21 giugno 1978 un gruppo di fuoco delle Brigate Rosse, costituito da tre uomini, uccide, a bordo di un autobus, il commissario Antonio Esposito. Dirige il commissariato di Nervi ma in precedenza ha avuto un ruolo di punta nel contrasto al terrorismo di sinistra. I brigatisti, colpita la vittima, fanno fermare l’autobus e fuggono a bordo di un’auto in attesa. L’omicidio è il primo compiuto dalle Brigate Rosse dalla fine del sequestro Moro. Fa grande impressione a Genova, città da anni al centro della sanguinosa attività dell’organizzazione.
Proprio a Genova i brigatisti hanno organizzato e portato a termine per la prima volta un attentato mortale. L’8 giugno 1976 hanno ucciso il procuratore capo Francesco Coco e i due uomini della sua scorta. La colonna genovese delle Brigate Rosse è costituita da militanti locali completamente sconosciuti alle forze dell’ordine, e da alcuni dirigenti esterni trasferiti da Torino. Si caratterizzò per la notevole efficienza, per la rigida compartimentazione e per l’attenzione alle grandi fabbriche.
Grazie alla rigida disciplina, alla forte determinazione e alla radicale motivazione dei principali militanti, a Genova nel 1977 si incrementa l’attività militare. La colonna colpisce dirigenti industriali, forze dell’ordine e uomini politici locali senza subire danni. Il 1978 inizia con un’offensiva generale delle Brigate Rosse. Durante il sequestro Moro, tutte le colonne entrano in azione. I bersagli sono il personale e i dirigenti del sistema carcerario e funzionari di polizia attivi nell’antiterrorismo. Il 10 marzo 1978 a Torino un nucleo di quattro persone, uccise il maresciallo di PS Rosario Berardi.
Lotta continua ricostruisce la carriera di Esposito e pone qualche dubbio sull’esecuzione. L’attentato è rinviato un paio di volte perché la moglie, tiratrice scelta in servizio in Questura, lo accompagna in auto a Nervi. In direzione di colonna si valuta la possibilità di uccidere anche lei ma poi prevale la scelta di immagine di continuare a non colpire le donne.
La dinamica dell’agguato
L’agguato è così ricostruito da uno dei partecipanti, poi pentito, Adriano Duglio: è Riccardo Dura a salire per primo sull’autobus portandosi inizialmente sulla parte anteriore dell’autobus; la sua presenza in quel punto è il segnale convenuto per confermare la presenza della vittima a bordo e per dare inizio all’azione. Quindi anche Duglio e Francesco Lo Bianco salgono sull’automezzo alla fermata successiva; a questo punto, mentre Duglio si porta vicino all’autista, Dura e Lo Bianco si spostarono verso la parte posteriore dell’autobus per avvicinarsi al commissario.
E’ Francesco Lo Bianco a sparare per primo contro il commissario Esposito con la pistola Nagant munita di silenziatore (una pistola in dotazione della colonna torinese e ottenuta in prestito da Micaletto), mentre Duglio subito ordina all’autista di fermare l’autobus e di aprire le portiere. Mentre l’azione è praticamente completata e i brigatisti stanno per uscire fuori dall’autobus, Riccardo Dura interviene a sua volta sparando contro la vittima altri colpi con la sua pistola personale Browning HP, una calibro 9. Alla guida della vettura per la fuga c’è Luca Nicolotti. Duglio invece si allontana con la sua moto e siccome “taglia” attraversando delle scalette, danneggia la forcella.
Le accuse del pentito a Dura
Duglio è uno dei pentiti che contribuisce a costruire la leggenda nera di Riccardo Dura spietato custode della disciplina di organizzazione. Il pentito asserisce infatti che era intenzionato a lasciare l’organizzazione già prima del sequestro Moro ma che aveva partecipato al delitto Esposito su pressione di Dura, che gli avrebbe imposto una sorta di patto di sangue per vincolarlo comunque a mantenere i segreti delle Br in cambio del permesso di uscire. In realtà l’uscita dall’organizzazione era prevista e regolamentata. Per dissenso o cedimento morale i militanti avevano diritto di uscire portandosi l’arma personale e una somma per le prime necessità personali. A Morucci e Faranda è infatti contestato l’essersi ripresi le armi che avevano portato in dotazione ritenendole ancora patrimonio personale.
Si registrano casi di militanti (il pentito Raimondo Etro) che si sottraggono all’impegno di sparare in un agguato: sono sostituiti per l’occasione e proseguono nell’impegno organizzativo.
La smentita di Fulvia Miglietta
A smentire nel merito la “diceria” di Duglio arriva la dissociata Fulvia Miglietta, compagna di Riccardo Dura e dirigente della colonna dalla fondazione al 28 marzo 1980:”Non sono a conoscenza di minacce da parte dell’organizzazione a compagni che avessero manifestato perplessità a portare a compimento un’azione, anche di carattere omicidiario, come quella contro il dottor Esposito. Il dissenso era tollerato e considerato nell’ambito delle Br in cui vigeva il principio del centralismo democratico”. E infatti a lei stessa, sconvolta dalla morte del suo compagno, è permesso di allontanarsi dall’organizzazione. In carcere riscoprirà la fede cattolica.

Fonte
Ugomatiatassinari.it
21 giugno 1978, Genova: le Br uccidono il commissario Esposito. I dubbi di LC

Approfondimento
Wikipedia

Video
Polizia di Stato


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