Gianfranco Spighi

1978
10 febbraio, Prato
Gianfranco Spighi, 57 anni, notaio

L’azione.
Il 10 febbraio 1978 verso mezzogiorno due giovani entrano nello storico Palazzo Fiorelli dal portone di via del Ceppo Vecchio 5, davanti al Castello dell’imperatore. Un terzo, probabilmente, rimane sulla strada a far da palo. I due salgono le scale e raggiungono il primo piano, si calano il passamontagna sul volto e irrompono nell’appartamento in cui si trovano gli studi di un notaio e di un geometra. Il loro obiettivo è il notaio Gianfranco Spighi, fiorentino, 57 anni, un professionista molto noto in città. I due giovani entrano impugnando le pistole. Uno dei due, con il passamontagna verde, va a prendere il geometra Piero Serafini e lo porta nella stanza dello studio notarile dove lavorano tre impiegati, Giuseppe Gigli, Gherardo Caramelli e Pietro Raddi. Lì riuniti li tiene sotto la minaccia dell’arma: «Non vi muovete, sporchi bastardi».

Lo sparo.
Intanto l’altro, “basso e magrolino” col passamontagna blu, entra nella stanza dove il notaio sta firmando alcuni documenti assistito dalla segretaria Gina Cavalenza. Sono seduti al tavolo e voltano le spalle alla porta d’ingresso, la moquette attutisce i passi del giovane, il notaio non lo sente arrivare. Si ritrova alle spalle il ragazzo che gli punta la pistola: «Non ti muovere, anche tu sei il solito bastardo». Spighi reagisce d’impulso come se non fosse una cosa seria: «Non facciamo scherzi, Carnevale è passato da un pezzo». «Non scherzo», replica il giovane. Spighi si alza, c’è una breve colluttazione, il notaio prende il giovane per un braccio e lo spinge nell’atrio: «Toglietevi dai coglioni». Il giovane si divincola e lo guarda: «Ok, tu mi mandi via e io ti sparo». E lo fa. Un colpo di pistola calibro 7,65 al petto da distanza ravvicinata, il proiettile recide l’arteria polmonare. Spighi si accascia su una poltrona in un lago di sangue, chiede aiuto, poi cade in avanti sul pavimento. Morirà mentre l’ambulanza lo porta al pronto soccorso. I due giovani scappano, uno di loro perde il passamontagna verde sulle scale, poi li vedono correre a gambe levate in direzione di piazza delle Carceri.
Rapina, anzi no.
Prato è colpita dall’omicidio, ma l’ombra del terrorismo non si affaccia. Il giorno dopo i quotidiani titolano “notaio ucciso da giovani rapinatori”. Quella sera in città c’è Bettino Craxi, neo segretario del Psi, nel salone dell’Artigianato in piazza Ciardi per presentare il programma economico del partito, quel fatto di cronaca non suscita interesse. Nelle stesse ore la polizia ritrova al Bar Adalgisa in via Pallacorda, una stradina dietro Palazzo Fiorelli, due pistole, un loden e un passamontagna in una borsa di cuoio. Dalla borsa si risale a Elfino Mortati. E la prospettiva cambia.

L’aspirante terrorista.
La sua faccia da ragazzino finisce su tutti i giornali ma Elfino a Prato già lo conoscono bene. Anche le forze dell’ordine. Ha poco più di 18 anni, frequenta le Magistrali ed è il leader di Autonomia in città. Si è già segnalato per la sua presenza in altre azioni dei mesi precedenti: l’occupazione della sede dell’Unione commercianti, un attentato alla caserma dei carabinieri, un altro a un lanificio. È già stato arrestato perché gli hanno trovato a casa i volantini di rivendicazione di un assalto all’azienda di pulizie Magni & Gori in via Strozzi. E solo pochi giorni prima un ordigno era esploso davanti alla sede della Dc in piazza San Domenico. Un rosario di episodi che avevano ricordato anche ai pratesi come quegli fossero anni difficili. Il 29 marzo dell’anno prima solo per fortuna non c’erano state vittime in un assalto alla sede di Tecnotessile, nel palazzo dell’Unione industriale in via Valentini, quando un commando delle Unità comuniste combattenti aveva fatto irruzione a volto scoperto rinchiudendo gli impiegati nel bagno e facendo esplodere un ordigno a tempo che aveva incendiato e distrutto tutti i macchinari. Ma stavolta c’è un morto. Anzi due, visto che due anni dopo l’omicidio Spighi, la vedova del notaio, Laura Sandri, 59 anni, si ucciderà sparandosi un colpo di pistola nella casa di Firenze. “Non ne posso più, non riesco a vivere”, lascia scritto in un biglietto.

Matrice e obiettivi.
Il nome di Elfino dà una matrice politica all’azione. Poi arriverà anche la rivendicazione firmata dal “Gruppo di lotta armata per il comunismo Dante Di Nanni” (un vecchio partigiano), nell’orbita di Autonomia operaia. Nel comunicato l’omicidio viene definito un “incidente tecnico”. L’obiettivo dell’azione, come ribadirà anni dopo Mortati, era quello «di fare alcune scritte sui muri e bruciare le cambiali degli operai che Spighi teneva in cassaforte». Sempre Mortati ammise che c’era probabilmente anche la volontà di «mettersi in luce» agli occhi dei terroristi veri, le Brigate Rosse.

Latitanza e caso Moro.
Elfino si dà alla latitanza, viene ospitato a Firenze, Bologna e Roma dai “compagni”. La sua fuga si conclude alla stazione di Pavia il 2 luglio, dove viene arrestato. In quei 5 mesi trova anche il modo di entrare nell’inchiesta Moro. Dice di essere entrato in contatto con le Br e di aver dormito in un covo nel ghetto di Roma, a un passo da via Caetani, dove fu trovato il corpo di Moro. Sono quelli proprio i giorni del sequestro Moro. Sarebbe una novità clamorosa, ma lo scoop non troverà conferme, nonostante l’impegno dei giudici Priore e Imposimato che passeranno giornate a perlustrare strade e palazzi del ghetto insieme a Mortati.
Condanna e carcere.
Chiusa l’inchiesta sull’omicidio Spighi, il processo si apre il 9 aprile 1980 in Corte d’Assise a Firenze con 19 persone a giudizio per banda armata e associazione sovversiva. Mortati coglie l’occasione per prendersi la scena e recitare la parte del leader rivoluzionario: rifiuta la difesa e il processo, insulta il presidente della Corte, cerca di leggere un comunicato facendosi cacciare dall’aula, fa analisi, espone strategie e invita l’Autonomia a entrare in clandestinità, a fare il salto nella lotta armata. Deve anche farsi perdonare il fatto di aver collaborato con le forze dell’ordine subito dopo l’arresto, raccontando la sua versione dei fatti e facendo i nomi di chi lo ha aiutato durante la latitanza. Alcuni di loro sono alla sbarra con lui. Mortati sarà condannato a 30 anni, a cui ne aggiungerà in seguito altri 4 partecipando nel 1979 a un tentativo di evasione dal carcere di Trani. In galera studia, si laurea in Storia del cristianesimo e dopo 14 anni ottiene la semilibertà e un lavoro grazie alla Curia di Prato.

I misteri.
Sull’omicidio del notaio Spighi restano ancora molte zone d’ombra e punti mai chiariti. Due fondamentali: chi erano, con Elfino, gli altri due ragazzi del commando? E chi uccise il notaio? Mortati si è sempre rifiutato di fare i nomi. Ha anche sempre sostenuto di non essere stato lui a sparare. Ma la segretaria del notaio, Gina Cavalenza, dirà di aver riconosciuto in Elfino il ragazzo con il loden grigio che sparò a Spighi.

Fonte
Il Tirreno.it
Quarant’anni fa l’omicidio Spighi: così Prato scoprì gli Anni di piombo Il Tirreno


da Aiviter