Giovanni D’Alfonso

1975
5 giugno, Arzello di Melazzo (Al)
Giovanni d’Alfonso, 45 anni, Appuntato dei Carabinieri

È il 5 giugno 1975. Una pattuglia di carabinieri composta dal tenente Umberto Rocca, dal maresciallo Rosario Cattafi e dagli appuntati Giovanni D’Alfonso e Pietro Barberis sta perlustrando le colline di Arzello, a pochi chilometri da Acqui Terme. Si tratta dell’epilogo delle indagini scattate in seguito al sequestro di Vittorio Vallarino Gancia, figlio del proprietario della nota casa vinicola, ad opera delle Brigate Rosse. Questa la dinamica dell’accaduto. “Giunti nella località di Arzello del comune di Melazzo (10 km da Acqui), alle 11,30 Rocca arrivò coi suoi uomini alla cascina Spiotta, da più mesi segnalata come luogo saltuario di ritrovo di persone sospette. L’ufficiale stava controllando l’interno di alcune vetture parcheggiate di fronte alla cascina, quando Barberis gli segnalò di aver sentito voci e rumori provenienti dalla cascina stessa. Rocca si avvicinò alla porta, constatando la presenza di alcuni individui all’interno. Ordinò di piazzare la vettura sulla strada per bloccare il traffico, ma defilata rispetto ad eventuali tiri da porte e finestre; D’Alfonso scelse una posizione tra i capannoni, pronto a intervenire; Barberis chiese rinforzi alla centrale operativa via radio e si appostò per controllare la parte posteriore della cascina. Il tenente Rocca, con Cattafi, compì una rapida ispezione, per controllare poi da un angolo del caseggiato due lati di esso, e ordinò a Cattafi (che aveva già bussato alla porta) di mettersi all’estremità di un casotto in muratura di fronte alla cascina. Al piano superiore si affacciò per un attimo una donna. Cattafi, ad alta voce, invitò più volte il dottor Caruso (il nome che risultava dalla targhetta alla porta) a uscire fuori. Un uomo aprì la porta invitando i militi ad entrare, poi (prima di richiudere la porta) lanciò una bomba, che investì in pieno Rocca, tranciandogli il braccio sinistro e ferendogli l’occhio sinistro. Cattafi fu colpito da numerose schegge sul lato destro del corpo, ma sparò ripetuti colpi contro le finestre e la porta. Quando si accorse delle gravi ferite dell’ufficiale Rocca, benché ferito gravemente lui stesso, lo sollevò di peso e lo mise al riparo, trascinandolo per 100 metri di terreno ripido e aspro fino alla provinciale. Fermò un’auto di passaggio e chiese al conducente di portare Rocca all’ospedale di Acqui. Nel frattempo stava arrivando un’altra pattuglia: rifiutando di essere soccorso, invitò i commilitoni a raggiungere con lui la cascina. Dalla cascina, dopo aver lanciato un’altra bomba, uscirono un uomo e una donna diretti ai capannoni. D’Alfonso avanzò per bloccarli con il fuoco della pistola, ma fu centrato da una raffica alla testa, al torace e all’addome. Nonostante i colpi ricevuti, sparò a sua volta un intero caricatore, forse ferendo due volte la donna che salì su un’automobile. La strada era però sbarrata dall’auto dei carabinieri, dove Barberis si era tempestivamente messo al riparo. Le due automobili, dopo un tamponamento, uscirono di strada. Barberis sparò ancora. L’uomo uscì dalla sua vettura dicendo: «Siamo feriti, ci arrendiamo». Barberis smise di sparare, invitò i due ad alzare la mani e ad andare verso una radura. Ma dopo pochi passi l’uomo, facendosi scudo della donna, estrasse dal giubbotto una bomba e la lanciò verso Barberis che, con grande prontezza, si slanciò in avanti e riuscì a sparare colpendo a morte la donna nonostante la bomba gli fosse esplosa a pochi metri di distanza. Il terrorista superstite si tuffò nella boscaglia e Barberis, preso un caricatore a D’Alfonso, lo inseguì invano. Tornò indietro per assistere D’Alfonso ferito a terra. Dopo alcuni minuti arrivarono con l’autoradio tre colleghi. Il vice brigadiere Frati, che comandava il gruppo, prima di ispezionare la cascina, lanciò un candelotto lacrimogeno. Da un piccolo vano a piano terra si sentirono grida di aiuto. Era Gancia, rapito il giorno prima. La donna uccisa era Margherita Cagol (conosciuta con il nome di battaglia di “Mara”), moglie di Renato Curcio. Lo scontro si risolse in un’autentica carneficina: Rocca era mutilato, D’Alfonso morì poco dopo. Cattafi fu trovato dai giornalisti mentre stava per tornare a casa con numerose schegge in corpo. Mostrò loro la divisa sforacchiata: «Potrei scolarci la pasta», disse, «ma devo riconoscere che, comunque, mi è andata bene».”
L’appuntato Giovanni D’Alfonso muore dopo alcuni giorni di agonia, l’11 giugno 1975. Gli viene concessa la Medaglia d’Argento al Valor Militare “alla memoria” e la Medaglia d’Oro di vittima del terrorismo.

Fonti
carabinieri.it
Per non dimenticare
crpiemonte.medium.com (Consiglio Regionale del Piemonte)
Il sequestro, l’assalto, le ferite del tenente e il corpo di “Mara” | by Crpiemonte | Medium

Ultimi sviluppi-2023
Il Centro
Squarcio nell’inchiesta sulla morte del carabiniere-eroe D’Alfonso – Abruzzo – Il Centro
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Renato Curcio indagato per l’omicidio del carabiniere Giovanni d’Alfonso. Lui replica: ”Estraneo ai fatti. Mi dicano da chi è stata uccisa mia moglie Mara Cagol” – il Dolomiti
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Br, figlio carabiniere D’Alfonso: “Curcio indagato? Punto fermo che dà concretezza a indagini”
La Repubblica
Br, il figlio di un carabiniere ucciso fa riaprire l’inchiesta sulla sparatoria in cui morì la moglie di Curcio – la Repubblica
L’ex brigatista Azzolini indagato per la morte del pennese D’Alfonso

Video
In Cronaca – Giovanni D’Alfonso ed il brigatista impunito
Il rapimento Gancia
La morte di MARA CAGOL – Cascina Spiotta 5 Giugno 1975


da Il Piccolo

da La Repubblica – Torino

da La Stampa

Mara Cagol – Da Enciclopedia delle donne