Pietro Bruno

1975
25 novembre, Roma
Pietro Bruno, 18 anni, studente

22 novembre, giornata storta. Il cielo grigio promette la pioggia e il vento se la prende con chi passa per le strade di Roma, quasi urlando che è meglio per tutti restare a casa. Ci sono giorni, però, in cui la libertà non accetta di restare casa. Non lo accetta l’8 giugno del 1960, tra Catete e Bengo, quando alla notizia dell’arresto di António Agostinho Neto una folla di sostenitori del Movimento Popolare per la Liberazione dell’Angola (MPLA) si mette in marcia reclamando il rilascio del loro leader. E non lo accetta nemmeno in Italia, il 22 novembre del 1975, mentre un corteo di duemila persone affronta il freddo intenso per chiedere a gran voce il riconoscimento dell’indipendenza della nazione africana, uscita vincitrice dal confronto con il regime coloniale portoghese. (…) Dalla testa del corteo che si snoda tra piazza Santa Maria Maggiore e piazza Navona si sgancia un gruppetto di giovanissimi militanti di Lotta Continua. I duemila che hanno preso parte alla manifestazione continuano a gridare slogan contro l’imperialismo e a salutare, nell’Angola di Neto, un altro paese in cui il marxismo ha consentito di portare al potere un rappresentante del proletariato. Le parole d’ordine della manifestazione sono musica per le orecchie dei ragazzi che imboccano via Muratori: lì, all’incrocio con largo Mecenate, c’è il cancello dell’ambasciata dello Zaire, uno Stato che attraverso il governo del feroce Mobutu sostiene per conto degli Stati Uniti le forze che si oppongono ai movimenti popolari in Africa centrale. Nell’animo di quel pugno di manifestanti c’è la volontà di andare oltre gli slogan e per questo, istruiti dal servizio d’ordine di Lc, alcuni giovani stringono tra le mani biglie d’acciaio e bocce piene di benzina, l’ingrediente necessario per portare a termine un’azione dimostrativa; una “fiammata”, come si diceva negli anni Settanta, da accendere in faccia ai nemici della Repubblica popolare dell’Angola per fare arrivare fino in Africa il rumore del Movimento e la sua solidarietà.
Idee ambiziose, quelle che girano per Roma il 22 novembre. Idee destinate a restare sull’asfalto. Perché quando il gruppo di ragazzi arriva a intravedere il portone dell’ambasciata dello Zaire si sente gridare: «Eccoli! Eccoli!».
Non c’è nemmeno il tempo di indietreggiare. Un gruppo di poliziotti e carabinieri, appostato nelle vicinanze, inizia a sparare. Le bottiglie incendiare volano senza procurare danni. Viene lanciato qualche sasso e due macchine, trascinate in mezzo alla strada, sono rovesciate per evitare una carica. Per difendersi è troppo tardi: due manifestanti sono feriti alla testa ma, miracolosamente, riescono a mettersi in salvo rientrando nel corteo; un terzo, colpito alla schiena, si accascia: il suo nome è Piero Bruno. Sulla sua carta di identità c’è scritto che è nato a Roma l’8 dicembre del 1957. (…) In via Muratori, Piero è solo un corpo che urla di dolore: qualcuno gli si avvicina tentando di metterlo in salvo ma neppure adesso, quando è palese che nessuno è più in grado di nuocere in alcun modo, viene dato l’ordine di far tacere le armi. Il soccorritore viene colpito a un braccio e le pallottole infieriscono ancora sul ragazzo steso a terra ferendolo nuovamente, questa volta al ginocchio. Tanto basta ai tutori dell’ordine per sentirsi finalmente padroni della situazione. Un agente senza divisa esce allo scoperto e il modo in cui tratta Piero non sfugge allo sguardo allibito di una signora affacciata alla finestra di casa sua, in via Muratori:
“Ho […] sentito che il ragazzo disteso per terra di lamentava e contemporaneamente ho visto un uomo in borghese sbucare attraverso i poliziotti che si è avvicinato di corsa al ragazzo, disteso per terra urlando, presso a poco «Ti pare questo il modo di ammazzare un collega» e ancora, «Cane, bastardo, carogna», ho quindi visto che l’uomo ha puntato la pistola verso il ragazzo disteso per terra, urlando «Ti ammazzo» e ho sentito il clic del grilletto. Il ragazzo ha gridato «No» ed ha fatto il gesto di coprirsi il volto con le mani. Quindi l’uomo, chinandosi sul ragazzo gli ha detto «ma io ti ammazzerei veramente» e lo ha scosso (dichiarazioni rese da una testimone alla competente autorità giudiziaria, 1975)”.
L’ospedale San Giovanni è vicinissimo al luogo dell’agguato ma, anziché correre al pronto soccorso, si preferisce trascinare il ferito per decine di metri per fare in modo che il suo corpo finisca molto più vicino all’ambasciata dello Zaire e dare l’idea che i proiettili lo abbiano raggiunto mentre attaccava la polizia e non, come è accaduto, mentre tentava la fuga. Gli stessi bossoli, esplosi in una quantità così numerosa da formare un tappeto lungo la strada insanguinata, vengono raccolti in fretta: l’esatto ammontare del loro numero, in questo modo, non potrà mai più essere appurato.
Intanto si perde tempo prezioso. Sono soltanto le venti e trenta quando, con i proiettili in corpo e addosso il pallore dei morti, Piero Bruno entra in sala operatoria. Per “sicurezza” la polizia lo piantona come se fosse nelle condizioni di poter scappare da un momento all’altro. Piero riesce a superare la notte ma, dopo due interventi chirurgici e il sopraggiungere di un blocco renale, nel pomeriggio del 23 novembre del 1975 smette di respirare.
Ma chi ha ucciso Piero Bruno? E’ stato possibile risalire all’identità dei militi che, agli ordini del vicequestore Ignazio Lo Coco, aprirono il fuoco il pomeriggio del 22 novembre 1975. I loro nomi, con le loro testimonianze, sono ancora lì, insieme ai buchi sui palazzi di via Muratori, tra le carte di un’inchiesta aperta dalla Magistratura per fare luce sul caso.
Si tratta del sottotenente dei carabinieri Saverio Bossio: «Ho esploso due colpi di pistola in direzione di un gruppo di persone col volto coperto che si trovava alla fine di via Muratori dalla parte del quadrivio».
Della guardia di pubblica sicurezza Romano Tammaro: «Mi sono avvicinato a loro sulla destra, ed ho visto un ragazzo a terra e due che lo trascinavano. Ho preso la pistola ed ho esploso dei colpi a scopo intimidatorio. I colpi erano diretti a terra».
E del carabiniere Pietro Colantuono: «I colpi che ho sparato, stando in piedi, li ho esplosi con l’avambraccio ad angolo retto rispetto al braccio, e quelli che ho esploso da terra, con l’avambraccio verso l’alto sempre in direzione del gruppo di giovani».

Fonte
Armati.info
Piero Bruno: passione e morte di uno studente comunista

Approfondimenti
Ugo Maria tassinari
22 novembre 1975. De Luca: Pietro Bruno l’ho mandato a morire io
Il Messaggero
https://www.ilmessaggero.it/rubriche/accadde_oggi/22_novembre_1975_militante_lotta_continua_piero_bruno_ucciso_forze_ordine-697753.html?refresh_ce
RetiInvisibili.net
Piero Bruno
Video
Arco Iris tv
Piero Bruno, ragazzo


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