Strage di Peteano

1972
31 maggio, Peteano di Segrado (Go)
Franco Dongiovanni, 23 anni, carabiniere
Antonio Ferraro, 29 anni, brigadiere dei Carabinieri
Donato Poveromo, 33 anni, carabiniere scelto

Di tutte le stragi fasciste, quella di Peteano è spesso dimenticata: per il numero di vittime (tre, tutti carabinieri) e perché avvenne non in una banca, in una piazza o su un treno, bensì in un viottolo sterrato di campagna, di notte, alla periferia di una piccolissima frazione di un minuscolo comune di una provincia all’estremo confine orientale d’Italia, quella di Gorizia. Una strage messa in atto alla periferia di tutto, ritenuta per giunta non politica per una buona decina d’anni. Una strage “marginale” però comunque singolare, soprattutto per una ragione: è infatti l’unica della quale conosciamo i colpevoli, al tempo stesso esecutori e mandanti. Uno di loro, Vincenzo Vinciguerra, se ne assunse la responsabilità, reo confesso. Lo fece nel 1984, dodici anni dopo i fatti, ma già si trovava in carcere, dopo essersi consegnato ai carabinieri. Nel 1979 aveva infatti posto volontariamente fine alla propria latitanza che, attraverso la Spagna, il Cile e l’Argentina, gli aveva consentito di sottrarsi all’arresto dopo essere stato condannato per un altro reato singolarissimo: un dirottamento aereo, il primo della storia dell’aviazione civile italiana.
I fatti risalgono a esattamente mezzo secolo fa. La sera del 31 maggio 1972 una telefonata anonima ai Carabinieri di Gorizia segnala la presenza di una Fiat 500 bianca abbandonata in una stradina poco fuori Peteano di Sagrado, con fori sul parabrezza che sembrano fori di proiettile. Scattano i controlli, la vettura viene perquisita, il sottotenente Angelo Tagliari decide di aprire il cofano e aziona la leva. Ma a quella leva è agganciato un detonatore (tecnicamente un accenditore a strappo) e l’auto, imbottita di esplosivo nel bagagliaio anteriore, salta in aria, uccidendo i tre carabinieri che stavano proprio davanti al cofano. Le vittime provengono tutte dal Sud: il brigadiere Antonio Ferraro, siciliano, 31 anni, e i carabinieri Donato Poveromo, lucano, 33 anni, e il leccese Franco Dongiovanni, appena 23 anni. Erano tutti sposati e la moglie di Ferraro era incinta. La portiera aperta fa invece da scudo a Tagliari, ferito comunque gravemente: sbalzato molti metri più in là, perderà una mano riportando inoltre ustioni e ferite.
L’attentato non viene rivendicato. E le indagini, svolte irritualmente in prima persona dal colonnello Dino Mingarelli, comandante della Legione Carabinieri di Udine (su ordine del generale Giovanni Battista Palumbo, comandante della Divisione Pastrengo di Milano e piduista) vengono indirizzate subito verso ambienti di Lotta Continua di Trento. È una pista del tutto infondata, che però verrà portata avanti per diversi mesi. Viene invece lasciata indisturbata la sezione udinese di Ordine Nuovo, benché da mesi in Friuli si stessero ripetendo attentati dinamitardi dimostrativi la cui matrice poteva essere chiaramente messa in connessione con ambienti neofascisti. Poi, il 6 ottobre, avviene il citato dirottamento di Ronchi dei Legionari: un piccolo aereo civile, con destinazione Bari, viene costretto da un passeggero armato a tornare all’aeroporto giuliano. Con il velivolo in pista, si svolge una concitata trattativa con la torre di controllo. Il dirottatore chiede denaro, libera i passeggeri ma tiene sequestrato l’equipaggio. Che però a un certo punto riesce ad abbandonare l’aereo. Le forze dell’ordine circondano l’aereo, c’è una sparatoria, poi il silenzio. Solo molte ore dopo polizia e carabinieri saliranno a bordo, trovandovi il dirottatore già colpito a morte. Si tratta di Ivano Boccaccio, ordinovista, in pugno stringe ancora una pistola. E quella pistola risulta appartenere a Carlo Cicuttini, altro ordinovista, ma anche segretario della sezione di Manzano del Movimento sociale italiano. Mentre Cicuttini è già fuggito in Spagna, in quei giorni viene interrogato anche Vinciguerra. Poi fuggirà anche lui. Intanto, su Peteano, le indagini si sono spostate su un gruppo di goriziani: è la “pista gialla”, non politica, che culmina nel 1973 con gli arresti di sei persone. Il loro movente, sostiene Mingarelli, sarebbe una non meglio precisata volontà di vendetta contro l’Arma. Vengono arrestati, benché gli elementi siano fragili: si faranno un anno di carcere, per poi essere processati (in un dibattimento drammatico e sconcertante) e assolti (ma la sentenza definitiva arriverà solo nel 1979). La vicenda di Peteano e quella di Ronchi resteranno a lungo separate, perché proprio i carabinieri hanno fatto sparire una prova decisiva: i bossoli dei proiettili sparati contro la Fiat 500 a Peteano, che erano calibro 22, e i verbali di sopralluogo che ne attestavano il rinvenimento. Calibro 22 era anche la pistola trovata in mano a Boccaccio, sull’aereo dirottato. E la voce della telefonata che aveva attirato i carabinieri a Peteano era la voce di Cicuttini.
La verità giudiziaria arrivò solo negli anni Ottanta inoltrati, grazie a un’inchiesta del giudice istruttore veneziano Felice Casson (dalla quale prese il via anche quella su Gladio), che permise di individuare la colpevolezza degli ordinovisti friulani: Vinciguerra si risolse ad assumersi la responsabilità della strage, pur coprendo inizialmente Cicuttini (e senza mai coinvolgere Boccaccio, peraltro già morto). La Corte d’assise lo condannò all’ergastolo, lui non interpose appello. Ergastolo anche a Cicuttini, che invece tentò dalla contumacia il secondo grado, invano. Solo nel 1998 verrà arrestato in Francia, attirato dalla Digos, dopo che la Spagna per ben due volte ne aveva negato l’estradizione. L’inchiesta di Casson accertò anche che il Movimento sociale italiano, ancora a metà degli anni Settanta, gli aveva fatto arrivare in Spagna 32 mila dollari per sottoporsi a un’operazione alla corde vocali e poter quindi sfuggire a eventuali inchieste sulla strage di Peteano, visto che la sua telefonata era stata registrata: il leader del partito Giorgio Almirante, rinviato a giudizio per favoreggiamento, sfuggirà al processo solo grazie a una provvidenziale amnistia, di cui decise di avvalersi ancora prima del dibattimento.

Fonte
Paolo Morando in RivistailMulino.it
La rivista il Mulino: 31 maggio 1972:
la strage di Peteano

Approfondimenti
Wikipedia
https://it.wikipedia.org/wiki/Strage_di_Peteano
Veronica Bortolussi, Tesi di laurea “la strage di Peteano e la strategia della tensione”, Università di Udine, su Guidosalvini.it
La strage di Peteano e la strategia della tensione di Veronica Bortolussi | Guido Salvini
Icalabresi.it
John Trumper, la strage di Peteano e il delitto Moro

Video
Paolo Morando racconta ‘L’ergastolano. La strage di Peteano e l’enigma Vinciguerra’
31 maggio 1972 | LA STRAGE DI PETEANO
Strage di Bologna, Vinciguerra: “Le stragi le faceva chi lavorava per lo Stato”.
Carlo Cicuttini (Strage di Peteano), telefonata ai Carabinieri per agguato (1972)
La Strage di Peteano

Sound
Radio Radicale – tutte le udienze del processo
Strage di Peteano | Radio Radicale

Il Libro
Paolo Morando, L’ergastolano. La strage di Peteano e l’enigma Vinciguerra, Laterza, 2022

da Laterza


da Wikipedia
Dongiovanni-Poveromo-Ferraro


da Wikipedia


da Rivista Il Mulino