1977
11 marzo, Bologna
Francesco Lorusso, 26 anni, studente universitario
È un abbraccio molto lungo: trent’anni e sei giorni. È un «gesto di pacificazione» tra due ex ragazzi cinquantenni, divisi da un dolore, finalmente riuniti dallo stesso dolore. È una stretta umana al’́inizio incerta, poi forte, che scioglie in pochi attimi il gelo dei decenni. «È un incontro tra uomini», dice Giovanni quando le parole riescono a risalirgli alle labbra, «niente di più, niente di meno». Quasi coetanei, quasi colleghi di lavoro, entrambi sposati, entrambi con figli che hanno più o meno l’ultima età che ebbe Francesco, entrambi impegnati in due diversi itinerari spirituali: due vite parallele e speculari. «È il momento che ho immaginato per anni», cerca le parole Massimo. Ce n’è una, di parole, che galleggia nell’aria, che attende di essere convocata. Quella parola è “perdono”, ma entrambi si accorgono, quasi sorpresi, di non averne bisogno. «Il perdono è solo di Dio», dice Giovanni, «e poi se io ora dicessi ‘ti perdono’, vorrebbe dire che finora ti ho pensato colpevole. Invece non è così. Quel giorno è stata sconvolta la vita di Francesco, ma anche la tua. Non sei stato tu il vero colpevole». Tramontani annuisce, comprende bene il senso di queste parole. C‘è un senso storico, perché Tramontani ricorda certo di avere sparato, ma non ha mai avuto la certezza che in quel fumo fitto sia stato proprio lui a colpire, o se fu invece qualcun altro che quel giorno vicino a lui forse sparò, chi può dirlo, nessuno può dirlo, Tramontani stesso dice di non saperlo, comunque nessun giudice fu messo in grado di deciderlo, per quel regalo avvelenato del proscioglimento per «uso legittimo delle armi». Ma non è di questo che si parla oggi nel silenzio del convento. In realtà quando Lorusso dice «non sei il vero colpevole» non pensa alle verità giudiziarie, pensa soprattutto alle dure morali della storia, alle responsabilità di chi aveva il potere di assumersele. Pensa a chi allora mise due ragazzi contro, due che non si conoscevano e non si odiavano, e lasciò, oppure volle, oppure mise in conto che uno ammazzasse l´altro; e ci fu anche chi, dopo, dannò la memoria di Francesco per salvare la propria. Giovanni ci pensa ancora qualche istante, e conclude: «Il nostro è un incontro fra due vittime». «Due vittime dello Stato», completa padre Benito. Al secolo Benito Fusco, per i compagni di un tempo Benito il rosso, militante di Lotta continua, oggi frate dell’ordine dei Servi di Maria.
L’11 marzo 1977 a Bologna, l’agente Tramontani sparò e lo studente Francesco Lorusso morì. Perchè? Come?
La sequenza di avvenimenti che portò all’uccisione di Lorusso si svolse nel reticolo di strade delimitato da via Irnerio, via Zamboni e via Mascarella, una parte importante della zona universitaria cittadina. Alle ore 10 di venerdì 11 marzo, alcune centinaia di studenti e docenti vicini al movimento cattolico Comunione e liberazione (CL) si riunirono per discutere sulla crisi dell’università e sui temi della condizione giovanile in un’aula dell’Istituto universitario di Anatomia in via Irnerio. La fruibilità degli spazi e il diritto di parola erano spesso oggetto di contesa durante le occupazioni delle facoltà, gli esponenti di CL intervenuti in passato nelle assemblee studentesche spesso venivano zittiti o cacciati dai giovani di estrema sinistra. Alcuni studenti di CL approntarono così un servizio d’ordine a protezione del loro incontro. Secondo alcune versioni, un piccolo gruppo di giovani di estrema sinistra tentò di entrare nell’aula e venne respinto; altri raccontarono che alcuni contestatori, dopo essere stati cacciati dall’aula, chiamarono rinforzi. La notizia della rissa, in ogni caso, giunse alle orecchie di studenti ed extraparlamentari del movimento che da via Zamboni e piazza Verdi raggiunsero in gran numero l’Istituto di Anatomia. Occupato il cortile esterno, strinsero d’assedio l’edificio, lanciando insulti e minacce agli studenti di CL che si barricarono nell’aula, chiamarono la polizia e fecero avvertire telefonicamente anche il rettore Carlo Rizzoli. Quest’ultimo fece giungere notizie allarmanti al questore Gennaro Palma che, d’intesa con il prefetto, decise di inviare in via Irnerio un contingente composto da carabinieri e da un reparto della celere. Funzionari dell’ufficio politico della questura giunti rapidamente sul posto avviarono un dialogo con i giovani del movimento, l’obiettivo era calmare gli animi, far allontanare gli assedianti verso porta Zamboni e permettere così il deflusso degli studenti di CL in direzione opposta. Durante le trattative arrivò l’autocolonna delle forze dell’ordine, gli uomini della celere rimasero in attesa sui mezzi, un gruppo di agenti, invece, a piedi si avvicinò al cortile per formare un cordone di sicurezza. Alcune studentesse iniziarono a uscire dall’aula di Anatomia, ma proprio quando la tensione sembrava sul punto di sciogliersi scoppiarono violenti tafferugli: gli agenti della celere lanciarono una carica improvvisa colpendo con i manganelli i giovani del movimento che stazionavano ancora nei paraggi del cortile, studenti e militanti di estrema sinistra risposero lanciando sanpietrini mentre ripiegavano verso porta Zamboni, altri armati di bastoni andarono allo scontro. Le forze dell’ordine sgombrarono definitivamente la zona sparando decine di candelotti lacrimogeni in tutte le direzioni. Tra scene di panico e nella concitazione generale, tutti gli studenti di CL riuscirono ad allontanarsi, dirigendosi velocemente verso piazza VIII agosto. Nel frattempo alcuni giovani del movimento si preparavano al contrattacco negli edifici universitari occupati tra piazza Verdi e via Zamboni. Si rifornirono di bottiglie molotov, preparate e nascoste nei giorni precedenti in vista di una manifestazione convocata per il 12 marzo a Roma. Un gruppo imboccò via Bertoloni e arrivò all’incrocio con via Irnerio invasa dal fumo, lanciò pietre e bottiglie incendiarie verso uomini e automezzi di carabinieri e polizia, quindi arretrò immediatamente inseguito dal lancio di altri lacrimogeni.
Massimo Tramontani, giovane carabiniere di leva, era giunto in zona alla guida di un camion dell’Arma e attendeva ordini dai superiori accanto al mezzo parcheggiato nei pressi dell’incrocio tra via Irnerio e via Centotrecento, strada parallela a via Bertoloni. Dopo aver schivato alcuni sassi lanciati dagli extraparlamentari, decise di reagire sparando con il suo fucile. Anni dopo, Tramontani ha ricostruito così quei momenti: «Sono mascherati e lanciano cubetti di porfido, io e due poliziotti facciamo salti per schivarli, poi loro provano a lanciare un lacrimogeno ma cade quattro metri davanti, gli studenti incoraggiati da questa figuraccia avanzano e continuano a lanciare. Sono molti, io sono solo, dov’è il capitano? mi chiedo, decido di reagire, sparo in aria col winchester. Ripeto: in aria […], voglio solo spaventare, infatti scappano» [5]. Nessuno rimase ferito, i proiettili andarono a vuoto, ma secondo Raffaele Bertoncelli, ex di Lotta continua presente nel drappello che attaccò da via Bertoloni, «mentre noi scappavamo, i carabinieri ci sparano colpi di fucile ad altezza d’uomo» [6]. Le molotov danneggiarono due automobili, una delle quali in dotazione alla polizia. Il contingente delle forze dell’ordine, ritenendo risolta la situazione nei pressi dell’Istituto di Anatomia, iniziò a ritirarsi percorrendo via Irnerio in direzione di piazza VIII agosto, dove era in corso l’affollato mercato settimanale di Bologna, la “Piazzola”. Mentre lo spostamento degli automezzi procedeva a rilento, poliziotti e carabinieri che seguivano a piedi notarono in via Centotrecento i movimenti di numerosi giovani e, temendo un nuovo attacco, li dispersero lanciando altri lacrimogeni. La seconda incursione contro le forze dell’ordine, tuttavia, si materializzò subito dopo nella strada parallela, via Mascarella, cogliendo di sorpresa l’autocolonna degli agenti, rimasta priva di buona parte della scorta appiedata.
Francesco Lorusso era nel gruppo di studenti ed extraparlamentari che, con cubetti di porfido e bottiglie incendiarie, si avvicinò di corsa all’intersezione con via Irnerio. Dopo una mattinata passata a studiare in casa di un amico, aveva raggiunto la zona universitaria e qui, saputo delle cariche e degli scontri davanti all’Istituto di Anatomia, si era unito ai compagni di militanza che intendevano reagire. Giunti al termine del portico di via Mascarella, alcuni tirarono sassi verso automobili e camion delle forze dell’ordine; Lorusso e il suo amico Beppe Ramina, invece, lanciarono due molotov: la prima si schiantò in mezzo alla carreggiata, l’altra colpì la portiera del camion condotto da Massimo Tramontani, causando un principio d’incendio all’altezza della cabina di guida. Terminato il blitz, Lorusso e gli altri extraparlamentari si diedero alla fuga sotto i portici di via Mascarella con l’intento di raggiungere via Belle Arti. Mentre alcuni agenti e un giornalista si adoperavano per domare le fiamme sul suo mezzo, Tramontani scese dal posto di guida, si portò al centro di via Irnerio e aprì il fuoco con la sua pistola Beretta calibro 9 in direzione dei portici di via Mascarella: «Scendo con la pistola e faccio fuoco verso i dimostranti. Ma senza l’intenzione di uccidere. […] Non voglio uccidere, dico, li voglio spaventare di più, visto che sparare in aria non serve. Sparo dove vedo che non c’è nessuno, verso i muri», dichiarò a «Repubblica» nel 1997.
Esplose sei colpi, era la seconda volta che sparava quella mattina. Lorusso venne raggiunto da un proiettile che lo trapassò trasversalmente, penetrando nella regione anteriore sinistra del torace per uscire dalla schiena, nella parte posteriore dell’emitorace destro. Probabilmente, mentre fuggiva, si era girato per guardare cosa succedeva alle sue spalle: riuscì a fare ancora qualche passo in direzione opposta, quindi cadde all’altezza del civico 37 di via Mascarella e morì in pochi istanti. Gli altri extraparlamentari fermarono la loro fuga e si avvicinarono nel vano tentativo di soccorrerlo. Alcuni trascinarono il corpo verso via Belle Arti e chiesero aiuto ai negozianti e a un automobilista di passaggio per organizzare il trasporto al pronto soccorso. Poliziotti, carabinieri e lo stesso Tramontani non si occuparono di verificare le conseguenze degli spari e, ignorando l’accaduto, ripresero la marcia verso piazza VIII agosto, allontanandosi definitivamente dai luoghi degli scontri. Dopo minuti concitati, un’ambulanza entrò contromano in via Mascarella da via Irnerio, il corpo di Lorusso venne caricato a bordo e portato all’ospedale Sant’Orsola, ma ai medici non restò che certificare la morte del giovane. La notizia si diffuse rapidamente: Radio Alice, emittente vicina al movimento bolognese, la diede già alle 13.30. Piazza Verdi e le vie limitrofe, nel cuore della zona universitaria, si riempirono rapidamente di militanti della sinistra extraparlamentare e di amici di Lorusso, accomunati dalla rabbia e dall’esasperazione. I giovani attribuirono la responsabilità politica dell’uccisione di Lorusso alla Democrazia cristiana, maggiore partito dell’area governativa, e al suo esponente Francesco Cossiga, ministro degli Interni. Così, verso le 17, un corteo composto da migliaia di giovani del movimento risalì via Zamboni per attraversare il centro di Bologna e raggiungere la sede provinciale della Democrazia cristiana in via San Gervasio, dove militanti e componenti dei servizi d’ordine intendevano portare l’assalto con molotov, pietre e spranghe. Alcuni avevano con sé armi da fuoco. Durante il tragitto venne sfiorato lo scontro fisico con militanti del Partito comunista posti a presidio del Sacrario dei caduti partigiani e della sede comunale di Palazzo D’Accursio, vetrine e automobili furono distrutte, fino all’impatto con il contingente delle forze dell’ordine davanti alla sede della Dc. La folla di giovani, respinta a fatica, si divise in vari tronconi e accese focolai di guerriglia urbana in vari punti della città, contrastata dai lanci di lacrimogeni. Alla stazione ferroviaria vi fu un prolungato conflitto a fuoco con agenti di polizia. Infine, a sera, studenti ed extraparlamentari si radunarono nella zona universitaria dopo aver innalzato barricate.
La mattina dopo si tenne una manifestazione sindacale unitaria in Piazza Maggiore, protetta da un nutrito servizio d’ordine composto da iscritti al Pci. Centinaia di giovani arrivarono in corteo dalla zona universitaria e, in un clima di forte tensione, cominciarono le trattative per far parlare dal palco rappresentanti del movimento. L’accordo non venne trovato: gli organizzatori pretendevano una condanna delle violenze e dei danneggiamenti del giorno prima, gli extraparlamentari rifiutarono le condizioni rivendicando la legittimità della loro reazione. La manifestazione, così, si chiuse senza l’intervento di persone vicine a Lorusso, un nuovo strappo tra il Pci e il movimento.
Nel pomeriggio le forze dell’ordine tentarono ripetutamente di sgombrare piazza Verdi e via Zamboni, ma furono sempre respinte dagli occupanti e di nuovo si sparò da entrambe le parti. Polizia e carabinieri riuscirono a prendere il controllo dell’area all’alba di domenica 13 marzo, entrando con i mezzi blindati nelle strade abbandonate ore prima dagli extraparlamentari. Un morto, numerosi feriti e parte del centro cittadino devastato da incendi e danneggiamenti: con questo bilancio si chiuse una pagina drammatica per Bologna.
Al termine di un lungo procedimento la Corte d’appello dichiarò la nullità dell’inchiesta di Catalanotti e ordinò l’immediata scarcerazione di Tramontani. Quest’ultimo, per la Corte, fu l’unico a sparare verso Lorusso, ma fece uso legittimo delle armi e per tale motivo non si poteva promuovere l’azione penale contro di lui. Pistolese venne prosciolto per non aver commesso il fatto.
Fonti
Bologna.repubblica.it
Lorusso e Tramontani un abbraccio dopo 30 anni | Bologna la Repubblica.it
Ladigacivile.it
L’uccisione di Francesco Lorusso
Approfondimenti
da Rai Play
Febbre 77 1980 – Primo piano – La morte lecita: l’uccisione di Francesco Lorusso – Video – RaiPlay
Wikipedia
https://it.wikipedia.org/wiki/Omicidio_di_Francesco_Lorusso
Ugo Maria Tassinari
Bologna, 11 marzo 1977: carabiniere uccide Francesco Lo Russo
Sound
Documenti sonori da radio Alice Voci
Video
La luna e il dito / Bologna 1977 – La storia siamo noi
da Wikipedia, la Diga Civile, Enrico Scuro, Brescia Anticapitalista