Walter Tobagi

1980,
27 maggio, Milano
Walter Tobagi, 33 anni, giornalista


da OdG

Walter Tobagi, cronista politico e sindacale del “Corriere della Sera”, inviato sul fronte del terrorismo, era uscito dalla propria abitazione e stava andando in garage a prendere la sua auto. Un commando di terroristi lo aspettava, fu affrontato e ucciso, con cinque colpi di pistola. Nel giro di alcuni mesi, le indagini portarono alla identificazione degli assassini, appartenenti alla “Brigata 28 marzo”, il gruppo terrorista di estrema sinistra, composto anche da figli di famiglie della borghesia milanese, che si era costituito dopo l’uccisione, avvenuta qualche mese prima, di quattro brigatisti rossi nel “covo di via Fracchia” a Genova.
Le indagini accertarono che i terroristi avevano individuato da tempo Walter Tobagi quale “possibile obiettivo”. Per il Corriere della Sera, aveva seguito tutte le vicende relative agli “anni di piombo” e aveva denunciato il pericolo del radicamento del fenomeno nelle fabbriche e negli altri luoghi di lavoro. Uno dei suoi ultimi articoli era intitolato “Non sono samurai invincibili”.
La sera prima del suo omicidio aveva partecipato a un incontro, al Circolo della stampa di Milano, sul tema della responsabilità del giornalista di fronte all’offensiva delle bande terroristiche e riferendosi alla lunga serie dei loro attentati, le cronache ricordano che aveva detto “Chissà a chi toccherà la prossima volta”. Dieci ore dopo fu ucciso.
La carriera giornalistica di Tobagi era iniziata molto presto, dopo il liceo, all’Avanti e successivamente all’Avvenire. E’ stato Presidente dell’Associazione lombarda dei giornalisti. Successivamente era approdato al Corriere della Sera dove si occupava di vicende legate al terrorismo, sia nero che rosso. Walter Tobagi era sposato con Maristella e aveva due figli: Luca e Benedetta.

Marco Barbone, leader della Brigata 28 Marzo, killer materiale del giornalista, venne arrestato nell’ottobre del 1980. Collaborò con gli inquirenti, divenne un pentito e a seguito delle sue dichiarazioni furono individuati e arrestati tutti i componenti dell’organizzazione.

Il ricordo del collega e amico Marco Volpati:
Se quel 28 maggio del 1980 Walter Tobagi fosse sfuggito all’imboscata dei suoi giovani assassini, oggi avrebbe 76 anni. Un’età da pensionati, anche se non si riesce ad immaginare “in quiescenza” uno spirito così vivace, un’intelligenza tanto fertile. Chi gli è stato collega, amico e compagno di lotte politico-sindacali fa fatica a rendersi conto che tra i giornalisti milanesi e lombardi non sono molti quelli che hanno avuto il privilegio di conoscerlo e frequentarlo.
Sul terrorismo violento e omicida si è ormai detto tutto o quasi; anche se attorno a tante vicende tragiche, tra cui quelle di Tobagi e di Moro, restano punti oscuri su cui alcuni ostinati e coraggiosi tra giornalisti, magistrati e politici continuano virtuosamente a indagare.
Il gruppo di giovani aspiranti brigatisti colpì un inviato di prestigio, che all’età di 33 anni firmava in prima pagina sul Corriere della Sera, e contemporaneamente era presidente dell’Associazione Lombarda dei Giornalisti, il sindacato di categoria: nel volantino di rivendicazione del delitto questa qualifica è sottolineata.
Un giovane uomo, padre di famiglia, che conduce un’esistenza intensissima: lavora al giornale, guida il sindacato della stampa, conduce studi di storia contemporanea e pubblica saggi.
Tobagi sa studiare, apprendere, approfondire, capire la realtà e condividere con i lettori le sue ricerche. Fin da ragazzo si esercitava nel giornale studentesco del Liceo Parini, e poi, ancora studente, scriveva su periodici specializzati di calcio e sport invernali. Discipline fisiche che lui non praticava, ma che sapeva seguire come eventi agonistici.
Poi crebbero la passione per la storia, il costume, le cronache politiche e sindacali, fino ai fatti del terrorismo che dominavano in quegli anni. Lo faceva con scrupolo, profondità, coraggio, attenzione a tutti i soggetti. A condannarlo, mettendolo nel mirino dei suoi assassini, è stata sicuramente la sua disposizione a voler vedere e ascoltare da vicino anche gli estremisti più accaniti, anche i simpatizzanti dei terroristi.
Il tratto eccezionale di Walter era la generosità: un giovane inviato del principale quotidiano italiano accetta di fare il sindacalista, e consuma giorni e notti a beneficio dei colleghi, per conquistare per tutti loro condizioni migliori di lavoro e di vita. Ha uno straordinario successo professionale, ma non si sottrae all’impegno civile.
In questi tempi di individualismo e competitività esasperati, è davvero il caso di coltivare la memoria e lo studio della sua opera, dei suoi scritti, delle riflessioni profonde e attuali sulle responsabilità e i doveri che porta con sé il mestiere di giornalista.

L’attentato e gli sviluppi giudiziari

Tobagi venne ucciso a Milano in via Salaino, alle ore 11 del 28 maggio 1980, con cinque colpi di pistola esplosi da un “commando” di terroristi di sinistra facenti capo alla Brigata XXVIII marzo (Marco Barbone, Paolo Morandini, Mario Marano, Francesco Giordano, Daniele Laus e Manfredi De Stefano), buona parte dei quali figli di famiglie della borghesia milanese. Due membri del commando in particolare appartengono all’ambiente giornalistico: sono Marco Barbone, figlio di Donato Barbone, dirigente editoriale della casa editrice Sansoni (di proprietà del gruppo RCS), e Paolo Morandini, figlio del critico cinematografico Morando Morandini del quotidiano Il Giorno.

A sparare furono Mario Marano e Marco Barbone. È quest’ultimo a dargli quello che nelle sue intenzioni avrebbe dovuto essere il colpo di grazia: quando Tobagi era ormai accasciato a terra, il terrorista gli si avvicinò e gli esplose un colpo dietro l’orecchio sinistro. In realtà, da come risulta dall’autopsia, il colpo mortale fu il secondo esploso dai due assassini, che colpendo il cuore causò la morte del giornalista.

Nel giro di pochi mesi dall’omicidio, le indagini di Carabinieri e magistratura portarono all’identificazione degli assassini, e in particolare a quella del leader della neonata Brigata XXVIII marzo, lo stesso Marco Barbone che, subito dopo il suo arresto, il 25 settembre 1980, decise di collaborare con gli inquirenti e grazie alle sue rivelazioni l’intera Brigata XXVIII marzo fu smantellata e furono incarcerati più di un centinaio di sospetti terroristi di sinistra, con cui Barbone era entrato in contatto durante la sua militanza terroristica.

Le 102 udienze di quello che fu un maxi-processo all’area sovversiva di sinistra iniziarono il 1º marzo 1983 e terminarono 28 novembre dello stesso anno. La sentenza suscitò molte polemiche poiché il giudice Cusumano, interpretando la legge sui pentiti in modo difforme rispetto al Tribunale di Roma (dove furono irrogate comunque pene a oltre vent’anni di carcere ai terroristi pentiti delle Unità comuniste combattenti), concesse a Marco Barbone, Mario Ferrandi, Umberto Mazzola, Paolo Morandini, Pio Pugliese e Rocco Ricciardi «il beneficio della libertà provvisoria ordinandone l’immediata scarcerazione se non detenuti per altra causa»[, mentre agli altri membri della XXVIII marzo, De Stefano, Giordano e Laus, furono inflitti trent’anni di carcere[7].

Le indagini non hanno chiarito il ruolo svolto dalla fidanzata di Marco Barbone, Caterina Rosenzweig, appartenente ad una ricca famiglia milanese, figlia dell’affarista Gianni e della preside Paola Sereni[9][10]. Nel 1978, cioè ben due anni prima dell’omicidio, Caterina Rosenzweig aveva lungamente pedinato Tobagi, che era anche suo docente di Storia moderna all’Università Statale di Milano. Anche se nel settembre 1980 viene arrestata insieme con gli altri, Caterina verrà assolta per insufficienza di prove, nonostante nel corso del processo venga accertato che il gruppo di terroristi si riuniva a casa sua in via Solferino, a poca distanza dagli uffici dove lavorava Tobagi. Dopo il processo si trasferirà in Brasile, nazione in cui già aveva vissuto in quanto sede degli affari del padre, fino a far perdere le proprie tracce.

Discussa fu la scelta da parte della magistratura di imbastire un processo con oltre 150 imputati e relativo non soltanto all’assassinio Tobagi ma a tutta l’area della sovversione di sinistra. Ciò, a detta di Ugo Finetti, segretario provinciale del PSI, ha fatto apparire il dibattimento come “un processo che sulla carta dovrebbe andare in scena perché si parli poco e male della vittima e con gli assassini più che altro messi sul banco non degli imputati, bensì degli accusatori, perché la sceneggiatura prevede che il centro dell’attenzione processuale riguardi altri fatti e altre persone”. Fu infatti scelto come referente privilegiato Marco Barbone, il quale, pentitosi subito dopo l’arresto, cominciò a fornire una notevole mole d’informazioni sugli ambienti della “lotta armata”. Tale scelta appare irrituale se si considera che il generale Carlo Alberto dalla Chiesa in un’intervista a Panorama rilasciata il 22 settembre 1980 (tre giorni prima dell’arresto del terrorista), fa cenno all’assassinio di Tobagi e alla Brigata XXVIII marzo e parla di aver « […] usato la stessa tecnica adottata a Torino nel ’74-75 per la cattura di Renato Curcio: massima riservatezza, conoscenza anche culturale dell’avversario, infiltrazione». Ossia, le forze dell’ordine e la magistratura potevano già disporre di una serie d’informazioni relative al gruppo terroristico e al delitto. Nonostante ciò, come già detto, durante il dibattimento ci si basò sulle dichiarazioni di Barbone, il quale non fu arrestato come sospetto per l’omicidio[11] ma con i seguenti capi d’accusa: appartenenza alle FCC, a Guerriglia rossa e partecipazione alla rapina ai Vigili urbani di via Colletta. Nella stessa intervista il generale afferma che vi sono sostenitori della Brigata XXVIII marzo tra i giornalisti.
Altra stranezza è la insolita uniformità di punti di vista tra PM e difesa di Barbone e la contrapposizione, altrettanto insolita, tra accusa e parte civile, la quale si vide rifiutare ogni istanza tesa a chiarire le dinamiche del delitto e le circostanze che portarono Barbone a pentirsi.

Nel documento di rivendicazione del delitto i terroristi sembrano essere a conoscenza dei fenomeni legati al mondo della stampa e a particolari relativi alla vita professionale di Tobagi; del giornalista scrissero «preso il volo dal Comitato di redazione del Corsera dal 1974, si è subito posto come dirigente capace di ricomporre le grosse contraddizioni politiche esistenti fra le varie correnti», ma Gianluigi Da Rold si chiede: «Come fanno a sapere che Walter Tobagi fece parte del comitato di redazione del Corsera (termine usato solo all’interno di via Solferino) quale rappresentante sindacale del «Corriere d’informazione» anche se per poco tempo [due mesi, ndr], nel 1974?».[12] Il comitato di redazione del Corsera non è da confondere con l’omologo del Corriere della Sera; vi si riunivano i rappresentanti delle redazioni di tutti i quotidiani e periodici allora collegati alla testata milanese. Nel testo, quindi, si cita un fatto molto particolare, ma Barbone, durante il dibattimento, afferma di essersi confuso: riprendendo un articolo di Ikon, ci si sarebbe sbagliati e scritto 1974 anziché 1977, l’anno in cui Tobagi entrò effettivamente a far parte del comitato di redazione del quotidiano. Ma, come detto, il comitato di redazione del Corriere della sera è cosa diversa da quello del Corsera e appare strano che, laddove l’autore del testo (o gli autori, stando alla versione fornita da Barone) appare consapevole della differenza, nella sua dichiarazione al processo dimostra di non averla ben presente, affermando di essersi semplicemente confuso sulla data di ingresso di Tobagi nel comitato di redazione del «Corriere della sera».

Altra incongruenza nelle dichiarazioni di Barbone è quella relativa al suo pedinamento del giornalista la notte del 27 maggio, il giorno prima del delitto. Nel mese di maggio del 1980, la vittima si assentò spesso da Milano per seguire la campagna elettorale per le amministrative, e tornava solo la domenica. Il 27, un mercoledì, eccezionalmente era presente al “Circolo della stampa” di Milano (dove fu oggetto, come riferiscono i testimoni, di attacchi verbali). Il terrorista, successivamente, affermò di aver girato con l’auto attorno alla sede dell’associazione «per rintracciare eventualmente quella del Tobagi e avere conferma che ci fosse, ma senza averla vista, me ne andai subito. La mattina successiva, quindi, agimmo». Se la presenza dell’auto presso il circolo era un fatto secondario rispetto alla messa in pratica del disegno criminoso, allora perché Barbone decise di pedinare Tobagi e soprattutto, come seppe della sua presenza a Milano?

Fonti
Ordine dei Giornalisti
43 ANNI FA L’UCCISIONE DI WALTER TOBAGI
Wikipedia
Walter Tobagi

Approfondimenti
Corriere della Sera
Walter Tobagi, raccontato dai suoi articoli per il «Corriere» di Luca Tobagi
maremosso.lafeltrinelli
I libri di Walter Tobagi nel racconto della figlia Benedetta
GiornalistiUccisi.it
Walter Tobagi
Associazione Lombarda Giornalisti
Walter Tobagi

Immagini
Fondazione Corriere della Sera
Walter Tobagi

Video
RAI
Tobagi, il coraggio della coerenzaL’annuncio della morte al Tg1
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