Strage 40 anni dopo: le vittime Due figli, una carriera all’Atb. Aveva 69 anni quando la bomba esplose: si trovava vicinissimo al cestino in cui era nascosta e non ebbe scampo
Euplo, il pensionato comunista preoccupato di quei giorni bui
Ai due figli ripeteva sempre: «Ricordatevi di essere onesti»
Chissà qual è stato l’ultimo pensiero che gli è passato per la testa pochi istanti prima che la bomba, alle dieci e dodici di quella mattina, facesse esplodere il calendario in mille pezzi e li scaraventasse nel tempo, trasformando una data qualunque in un tragico anniversario. Tra le mani aveva un pacchetto. Magari un piccolo involto di carta di giornale, o chissà, più probabilmente una bustina. Di certo c’è solo il contenuto: ricambi per orologi. Minuteria di precisione, rotismi, ingranaggi - complicatissime briciole. Li aveva comprati per il figlio minore Elvezio e si era offerto di andare a ritirarli per poter poi passare a dare un’occhiata alla manifestazione.
Euplo Natali aveva 69 anni quando il destino ha suonato l’accordo cruciale: una terribile esplosione che avrebbe cambiato chissà se più le storie individuali o la Storia collettiva. La sua, di storia, si potrebbe riassumere così: il lavoro, la passione per Verdi e Rossini, e una frase ripetuta ai figli: «Ricordatevi di essere onesti».
Euplo nasce il 3 gennaio 1905 a Cerreto d’Esi, Ancona, per colpa della neve. I genitori si trovano lì da alcuni parenti quando ne furono sorpresi: aspro l’Appennino. Ma a Fabriano frequenterà le elementari, le medie, e conseguirà il diploma di istituto tecnico. A 18 anni compiuti, il trasferimento a Brescia: trova lavoro alla Tubi Togni. Servizio militare a Malpensa, nell’Aeronautica, come elettricista. In seguito la Tubi Togni diventa Atb, e anche i rapporti diventano qualcos’altro: Euplo, coordinatore del reparto Sider, nel 1941 viene mandato via, pare per ragioni politiche, forse a causa delle sue dichiarate simpatie per il Partito comunista. Nel frattempo, il 1933 lo aveva visto sposarsi con Persilia Raffelli, una 23enne energica, allegra, gran lavoratrice, che lui andava a trovare in bicicletta sul luogo di lavoro - Tintoria Colombo, via Triumplina, sulla strada verso Nave. Lei si innamorò subito di quell’uomo sempre ben disposto, con le sopracciglia folte e il naso largo, e nel 1935 gli diede il primo figlio, di nome Rolando come il fratello di Euplo, morto nel 1918 di spagnola. Vivono alla Stocchetta.
Nel frattempo trova lavoro alla Breda, ma dopo due anni lo richiamano all’Atb: servono tecnici esperti per la guerra, e lui è un tecnico esperto. Ma non solo, è una persona affidabile e serissima. Lo fanno capo della manutenzione elettrica e meccanica, 100 persone da dirigere. Nel 1942 nasce il secondogenito, Elvezio. Rolando ricorderà per sempre questo piccolo episodio: gli americani erano da poco entrati a Brescia e il padre lo aveva portato con sé nello stabilimento. Lì vide il primo straniero della sua vita, un nero che lo fece giocare con una fisarmonica che recava la sigla SS. Non volle più abbandonarla e se la portò a casa. Ma era rotta, non suonava. Un lontano cugino del padre un giorno gli promise: «Te la ripario io, la porto con me a Castelfidardo, so come fare».
Poi di quella fisarmonica non si sarebbe saputo più nulla. Elvezio, invece, del padre ricorda la bonarietà ma soprattutto la presenza intermittente. «A volte non lo vedevo anche per quindici giorni di fila perché rincasava tardissimo. E se c’era un guasto alle macchine, lo chiamavano anche di notte. Venivano addirittura a prenderlo». Nel dopoguerra Natali è amministratore fino al 1948 della sezione del Pci; poi litiga coi filo-stalinisti e abbandona l’incarico. Ma non c’era solo il lavoro e la politica: nei rari week end liberi prendeva la Lambretta e coi due figli si spingeva fino a Lugana, oppure in Val Trompia. Piccole gite, l’alibi di un bicchiere di vino, l’occasione per incontrarsi con qualcuno. Per esempio con Scotti, amico di Salò; con Piatti, collega di lavoro; oppure con Pasinetti, noto per l’umorismo. Di domenica mattina, giretto sotto i portici. Il bianco lo si andava a bere al Cantinone, all’osteria Frascati in via Mazzini o al Frate in via Musei. Insegnanti, avvocati, ingegneri - la città e l’ozio domenicale. Ma i ritmi della vita sono febbrili: lo aspettano due traslochi in pochi anni. Nel 1958 si trasferisce dalla Stocchetta in via Somalia (la casa era all’interno delle mura dell’Atb), e da via Somalia, nel 1962, in quartiere Abba. Nel giro di pochi anni va in pensione e dà una mano al figlio Rolando, che mette in piedi una piccola ditta di motori elettrici. Nel 1967 viene ricoverato per problemi dermatologici dal professor Monacelli, fabrianese, amico di gioventù, all’Umberto I di Roma. Nella stessa stanza è degente Gianni Albani, che diventa un suo grande amico. Ricorda che durante il loro ricovero avevano luogo i primi disordini nelle università. Una mattina andarono sul terrazzo, e vedendo sfilare le camionette della Celere, Euplo disse: «Ci sono molte cose da cambiare in questo Paese, ma c’è troppa violenza». Nella notte tra il 18 e il 19 maggio 1974, a Brescia, il ventenne neofascista Silvio Ferrari muore dilaniato dall’esplosione di un ordigno che stava trasportando in Vespa, ed Euplo va là, in piazza del Mercato. In casa dice: «C’è troppa tensione». Dice: «Ci sono ancora in mezzo i fascisti».
La mattina del 28 maggio esce di casa e non fa più ritorno. In tarda mattinata, preoccupato, Elvezio chiama il negoziante dal quale il padre era andato a comprare i ricambi. Apprende della bomba. Passano le ore, l’angoscia cresce ed Elvezio decide di andare a chiedere negli ospedali. Comincia dal Civile. Sono ore di confusione, i feriti non si contano. Poco dopo mezzogiorno, se lo trova davanti all’improvviso, disteso su un carrello d’acciaio. È morto all’istante, si trovava vicinissimo al cestino in cui era nascosta la bomba. Alla notizia, la moglie Persilia è distrutta. «Non ci siamo ripresi mai più», dice il figlio Elvezio. E aggiunge: «Ma soprattutto mia madre: non l’ha mai superata». Persilia Raffelli è morta il 25 novembre 2009, dopo due ictus che le hanno tolto l’uso della parola.