Strage 40 anni dopo: le vittime Pinto aveva 25 anni ed era militante della Cgil Scuola, non sopravvisse alle gravi ferite riportate nello scoppio e morì il primo giugno
Luigi, l’insegnante giunto dalla Puglia che sognava di cambiare il mondo
Docente di applicazioni tecniche, voleva diventare ingegnere. Il figlio del capotreno Aveva vinto un concorso in ferrovia come il padre, ma preferì migrare e fare il professore a Montisola
Il Brasile mancato e un tema in classe. Percorrendo a ritroso la vita di Luigi Pinto, detto Gino, ci si ferma a riflettere proprio qui: due punti poco segnalati dalle mappe; due punti di cui, come accade a chiunque, il giovane (futuro) insegnante non avrà avvertito la crucialità. È il mestiere del destino, del resto - farci decidere, e svelare tutto alla fine. La fine dice: Brescia, 1 giugno 1974. L’inizio è in Puglia, a Foggia, l’8 maggio 1949. In mezzo, la storia di un uomo che aveva le scarpe sempre lucide e il sogno di una laurea in Ingegneria. Scarpe e sogni, sì. Una vita fatta tutta di fatica e di desideri.
«Io non mi lamento. Il lavoro è una cosa seria, va fatta bene, con serietà». Diceva così, Luigi, al fratello Lorenzo. C’è una fotografia, scattata pochi giorni precedente lo scoppio della bomba, in cui regge con la mano sinistra un giornale e con la destra un cartello che recita: «No alla scuola di classe - No alla selezione - Corsi abilitanti - Occupazione»; ha i capelli lunghi, è ben rasato, ha una fossetta sul mento, un eskimo beige, un paio di jeans e un maglione dolcevita. Fosse partito per il Brasile come aveva immaginato d’estate, durante le superiori, quando per non pesare sulla famiglia lavorava come operaio negli zuccherifici e raccoglieva bietole per la campagna saccarifera, non ci sarebbe questa foto, e ora racconteremmo un’altra storia. La storia che invece si deve raccontare è questa: all’Itis Saverio Altamura, questo ragazzo dallo sguardo sereno che si diplomerà nel 1968 e che aveva le sopracciglia come accenti circonflessi, odiando a morte «i vuoti esercizi retorici», un bel giorno si dà a un esercizio di verità. E scrive fitte pagine di tema in classe su come la scuola dovrebbe essere. Ci guadagna una sospensione, certo, ma anche la chiarezza. Perché in quel momento prende una decisione - anzi, la decisione: non partire, e diventare insegnante. La scuola, così com’è, non va. Lui, che ci crede, immagina di poterla cambiare. Ma non si limita a immaginare: fa. D’altro canto, Luigi aveva sempre fatto, fin da quando, in famiglia - padre capotreno, tre fratelli e due sorelle - viene a mancare la madre. È il 1962, e appena tredicenne Luigi diventa riferimento per sua sorella e per Lorenzo, che all’epoca ha 5 anni. Per un periodo è cineoperatore al cinema Ariston di Foggia, lavora come riparatore di lavatrici e si iscrive a due concorsi: scuola pubblica e Ferrovie dello Stato. Passa quello delle Ferrovie ma non gli interessa, perché viene assunto in quella che Lorenzo chiamerà la «cattedrale nel deserto», e diventa caporeparto di un’industria petrolchimica di Porto Torres. Poi partirà militare - bersagliere a Persano, provincia di Salerno. Al petrolchimico gli tengono il posto, ma al momento di tornare trova condizioni che lo convincono a lasciar perdere. Nel frattempo la fidanzata Ada (famiglia originaria di San Benedetto Po) ha finito la magistrali e si è iscritta a Lingue e Letterature straniere a Verona. Si laurea, e Luigi comincia a insegnare applicazioni tecniche maschili a Bergantino e Castelnuovo, in provincia di Rovigo; quindi si trasferisce in Lombardia per un incarico alla media di Siviano di Montisola, con completamento a Lumezzane e Calcinato.
Nel 1973 arriverà la nomina a tempo indeterminato, che annuncerà al telefono alla sorella Giovanna facendo i salti di gioia. «Adesso voglio laurearmi in Ingegneria, e Nunzia deve venire qui a fare matematica». Ada, nel frattempo, accetta una cattedra a Edolo, si sposano - lui, giacca e cravatta, raggiante; lei, bionda, sottile e sorridente - e Luigi si trasferisce a Brescia. Per tutto l’anno scolastico 1972-73 aveva vissuto a Milano ospite di Giovanni Pedone, un ferroviere che sposerà sua sorella Nunzia. Comincia la routine: a letto presto - ogni sera appende con cura l’eskimo, spiana i pantaloni, pulisce a specchio le scarpe - e ingrata alzataccia: tre ore di trasporti (ma solo nel caso di coincidenze perfette) e l’arrivo a scuola. All’imbarcadero per Montisola prende il traghetto e chiacchiera sempre con Agnese, che manovra il timone. Infine, un tratto a piedi. Il collega Davide Dotti ricorda: «Conversavamo amabilmente, perché nonostante il disagio del viaggio lui era sempre felice di incontrare i ragazzi». Felice e inventivo: ecco com’era, Luigi. Fabrizio Soardi, un suo studente, lo conferma e rammenta le sue intuizioni interdisciplinari: come quella volta che fece costruire ai ragazzi un plastico di compensato, segnando le regioni, le province e i capoluoghi d’Italia. I colleghi lo amano, ha capacità diplomatiche e senso della mediazione. Ha contatti con la cellula scuola di Avanguardia operaia e tre mesi prima del matrimonio, il 4 giugno 1973, si iscrive alla Cgil e conoscerà Giulietta Banzi.
Ad aprile 1974 il fratello Lorenzo va a trovarlo nella nuova casa di Brescia, in via Montebello, e passa un pomeriggio con lui a ridipingere un’inferriata del balcone. Arrivati qui, è proprio inevitabile: percorrendo a ritroso la vita di Pinto, ci si ferma a immaginare questo pomeriggio. La vita che scorre inavvertita. Un’inferriata e un balcone, quattro chiacchiere e poco altro, eppure - eppure - in quel momento, all’insaputa di due uomini, qualcosa di terribile si sta preparando. Il 28 maggio Luigi va alla manifestazione in piazza Loggia perché non può mancare: l’1 giugno dovrà, in qualità di delegato, prender parte al Congresso provinciale. L’1 giugno diventerà invece la data del suo decesso, avvenuto in un letto d’ospedale. Quella mattina del 28 maggio Ada è rimasta a casa, ed è da poco passato mezzogiorno quando si sente raggelare. In strada, un altoparlante dà notizia della bomba. È nel terrore. Lo aspetta a casa, ma lui non si fa vivo. Allora telefona a Giulietta Banzi, però nessuno risponde. Luigi, in quel momento, è ricoverato in condizioni gravissime, e viene identificato solo grazie alla tessera Avis. Ai suoi funerali, il saluto caloroso di una folla. Agnese, la donna che guidava il traghetto per Montisola, per anni custodirà sul timone la foto di Luigi Pinto, detto Gino, quel giovane professore sempre di buon umore che aveva immaginato di cambiare il mondo con un tema in classe.