Milano, 19 maggio 2014 - 17:33

Bartolomeo, l’operaio ex calciatore che amava la caccia e i libri gialli

Era vicino al cestino della bomba, lo riconobbero dalla patente L’amore per Giorgina Aveva conosciuto la mogliequando militava in serie C nel Mantova. Era stato anche ala destra nel Brescia

 

Si dice che le storie vadano raccontate dal principio. Ma non sempre, non tutte: non quella di Bartolomeo Talenti. La sua bisognerebbe raccontarla a partire dalla fine, o meglio, da quarantotto ore prima della fine, quando tutto è ancora intatto e la sorte non ha ancora tirato i dadi. È il 25 maggio 1974, e quello stesso destino che, come un cinico narratore, sta preparando il finale, gli riserva un ultimo capitolo di gioia: suo figlio si sposa.


Una gioia semplice, autentica, adombrata da una piccola discussione: Bartolomeo avrebbe voluto organizzare un vero e proprio pranzo di festeggiamento, senonché la moglie dello sposo non aveva le disponibilità economiche per permetterselo, né lui per offrirlo ai parenti acquisiti. Così, in accordo col neomarito - «Fatelo pure, ma noi non veniamo», gli dice Ugo -, festeggiò gli sposi senza gli sposi. Alla sua, di moglie, si era unito trentaquattro anni prima. Nato il 2 ottobre del 1919 da madre casalinga e padre artigiano armiero (tre fratelli maschi e due femmine, una morta negli anni ‘50) aveva conosciuto Giorgina Battaglia durante quelli che chiamava «i miei anni di gloria», quando giocava a calcio per i colori del Mantova, in serie C.
Avrebbero passato insieme un’intera vita, fatto cinque traslochi e affrontato a testa alta condizioni economiche costantemente altalenanti. Era un uomo estroverso, appassionato di caccia e pesca, e che tutte le sere, dopo il Tg, sprofondava nei suoi libri gialli. Grazie alla sua attività di calciatore (ala destra anche nel Brescia) non partì per la leva e nemmeno per la guerra. Fu sua moglie ad essere chiamata alle armi: nei documenti, a causa di un’errata trascrizione, Giorgina era diventata Giorgino. Buffo malinteso, per lei che era invece una donna bellissima - bionda, occhi azzurri, aveva un anno più di lui. Bartolomeo ricordava vagamente Humphrey Bogart: piccoletto, occhi neri, capelli scuri ravviati all’indietro, due linee verticali ai lati della bocca che diventavano più marcate se sorrideva. Quando gli facevano notare la somiglianza, scuoteva la testa divertito. Nel 1943 ebbero il primo figlio, Paolo. Nel 1952 il secondo, Ugo. A forza di cambiali, nel giro di qualche anno, la famiglia che lui manteneva col lavoro di artigiano armiero avrebbe potuto contare anche su una Seicento. Frequenti le battute di caccia nel mantovano, rare le volte in cui anche Giorgina partecipava a questi brevi viaggi. Quando accadeva, raggiungevano i suoi parenti il giorno prima e lei vi soggiornava mentre lui si dedicava alla sua pratica preferita.


Quattro pali e due teli - il capanno se l’era costruito da sé. Si alzava presto, partiva alle quattro, tornava nel tardo pomeriggio. Ogni tanto Ugo andava con lui. «Un paio di volte mi ha anche fatto provare a sparare». Sorridendo, completa il ritratto con queste parole: «Se avessi avuto bisogno di sapere qualcosa, qualsiasi cosa, avrei potuto chiedere senza problemi. Mio padre era molto aperto. Mi ha fatto appassionare alla caccia, alla pesca e alla lettura. Non mi ha mai dato un ceffone». Negli anni ‘50 si appassiona anche agli schiocchi secchi delle bocce: in un fumoso bar di via del Sebino, due volte a settimana, gioca con amici e avventori di passaggio. In famiglia il clima è sereno. In casa circolano il Giornale di Brescia e l’Unità, Bartolomeo è comunista da sempre e iscritto alla Flm, la federazione sindacale dei metalmeccanici. Alterne le fortune, travagliate le vicende immobiliari: nato nei grossi condomini di via Mazzucchelli, si trasferisce a Villaggio Sereno, comprando una casa dopo aver firmato un mutuo infinito. Ma il 1965 è un anno difficile, di problemi finanziari e professionali: costretto a venderla, ne prende un’altra nello stesso quartiere, però in affitto. Quando viene assunto dalla Perazzi Armi, con sede a Virle (ci entra grazie alle sue competenze di basculatore-rampatore e in breve diventa punto di riferimento per moltissimi giovani, oltre che arbitro nella partite aziendali - così lo ricordano, durante la deposizione al processo, molti suoi ex colleghi) si trasferisce a Molinetto di Mazzano. Infine gli anni ‘70 lo vedono in Maddalena, nella dépendance di una casa in cui, con la moglie, fa il custode. È proprio questo l’ultimo suo domicilio, l’indirizzo cui, un giorno, non farà più ritorno.

Quel giorno è il 28 maggio del 1974. Bartolomeo Talenti prende l’autobus e scende in città per alcuni controlli sul suo libretto di lavoro. «Ci vediamo lì di pomeriggio, ti riporto a casa io», gli dice Ugo. E così accade. Talenti partecipa alla manifestazione, molti uffici sono chiusi e riapriranno solo il pomeriggio. Mentre è in piedi, ignaro, nei pressi del colonnato e vicino al cestino in cui è nascosta la bomba, suo figlio sta terminando il trasloco nella casa in cui, da pochissimi giorni, è andato a vivere con sua moglie. Sono le 12.15 quando la radio trasmette il Gazzettino padano. Sono le 12.15 quando, seduto a pranzo, apprende della strage. La prima cosa che fa? Corre a casa dei suoi, ma ovviamente il padre non c’è. Non dice nulla alla madre, anzi, la rassicura così: «Tranquilla, si sarà fermato per un calice con qualche amico della fabbrica».


Allora visita un paio di bar di piazza Arnaldo, quindi, insieme al fratello, si dà alla sinistra trafila con in gola un nodo di presentimento. Ospedale Civile, Città di Brescia, Poliambulanza, Sant’Anna, San Camillo: in nessuno di questi ospedali risulta ricoverato un uomo che risponda al suo nome. Così Ugo si ferma a cena dal fratello senza sapere cosa pensare. Sono le 21 quando un cugino sopraggiunge e dà la notizia: la salma del padre li aspetta all’obitorio del cimitero Vantiniano. Bartolomeo Talenti, anni 56, era stato riconosciuto grazie all’unico brandello leggibile di ciò che aveva in tasca: l’indirizzo sulla patente.

© RIPRODUZIONE RISERVATA